L’atto della scelta
L’atto non va confuso con la semplice motilità, rimane nell’ambito del simbolico. Ci sono persone che fanno molte cose, che si danno da fare, che definiamo attive, dinamiche. Ma non è detto che compiano degli atti.
Che cos’è un atto? Potremmo pensarlo come un oltrepassamento, una trasgressione, una posizione in tutto e per tutto nuova. E’ l’istante in cui si sceglie questo e non quello, ma non a partire da un ragionamento logico, da una valutazione dei pro e dei contro degli effetti dell’azione. Un atto consiste a volte nel rifiutare di fare qualcosa, nel non voler seguire gli altri. Nell’assumere una posizione scomoda e controcorrente. Al di là del calcolo utilitaristico, di ogni interesse o vantaggio.
Potrei avere tutte le ragioni del mondo per agire ma non farlo, e viceversa. Un atto rispecchia un atteggiamento etico nei confronti del proprio desiderio.
Sposarsi, troncare una relazione, fondare un’impresa, lasciare un lavoro sono tutti esempi di atti, rappresentano delle discontinuità rispetto al piano del noto e introducono del nuovo, del non ancora visto, non ancora vissuto.
Nell’istante dell’atto la nostra soggettività si trova come sospesa tra un prima e un dopo. Tutto ciò a cui tenevamo non conta più, siamo indifferenti al futuro. Siamo in uno stato di passaggio, di totale indeterminazione.
Immediatamente dopo aver compiuto un atto non siamo più gli stessi. Ne usciamo profondamente trasformati. Irrimediabilmente la nostra vita prende un nuovo corso.
Ma un atto lo possiamo mancare. E questo può accadere sostanzialmente in due modi. O rinviandolo all’infinito o affrettandolo eccessivamente.
La sospensione dell’atto è legata ad un eccesso di pensiero: la valutazione delle ragioni favorevoli o contrarie può durare all’infinito. Abbiamo il dubbio, la procrastinazione continua. La stasi inaridente.
Al contrario possiamo scivolare precocemente nell’azione, senza che questa sia preceduta da un’opportuna riflessione che ci implica soggettivamente. Un atto vero, pur comportando una discontinuità rispetto al pensiero, non è mai fuori dal campo simbolico. Può apparire irragionevole, in controtendenza, ma non prescinde in nessun modo da una posizione etica di responsabilità.