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Dolore d’abbandono: subito o ricercato?

L’esperienza dell’abbandono, anche quando vissuta da adulti, si accompagna sempre ad una quota di dolore. Abbiamo infatti a che fare con un vero e proprio strappo: qualcuno che sentivamo accanto come una presenza amorevole più o meno all’improvviso se ne va, infliggendo una ferita bruciante.

Ma è sempre una vittima colui che viene lasciato? E il suo star male, innegabile, che cos’è davvero il più delle volte? Quanto conta per uno psicoterapeuta saper distinguere la vera natura del dolore che si trova davanti?

Il dolore da taglio

 Abbiamo certamente una forma di dolore intrinsecamente legata all’effetto del taglio, ovvero ingenerata puramente dal distacco da una persona significativa. Essa abbraccia sia la primissima reazione alla perdita, spesso scomposta e disperata, che i momenti successivi di riparazione.

Il dolore vero da taglio incide ben oltre l’attimo del distacco. Anche quando il controllo riprende il sopravvento (con tutte le differenze individuali nella capacità di sopportazione del dolore) esso insiste nel tempo pur potendo infine arrivare ad una pacificazione. Persino i punti messi giù per tamponare l’emorragia (gli escamotage e le distrazioni con cui ci si industria nei primi tempi per tenere alla larga la disperazione) non sono ancora una barriera sufficiente, ben lontani dal costituire una cicatrice stabile. La ferita continua a far male, a tirare, rinnovando le sensazioni iniziali della lama che affonda nella carne.

Ecco dunque un dolore psichico che ha tutte le sembianze di uno somatico, dotato di una natura “animale”, necessaria, che segue (facilitato dagli ausili della terapia umana) un decorso prevedibile, come quello di un processo riparativo di natura cellulare.

Pur devastante e pertinace, alla fine cede e sotto i colpi della stessa spinta alla vita lentamente si ritira. Allora nuove persone possono essere investite affettivamente, il lutto è superato. Qualcosa resta, certo, una cicatrice. Ma la vita va avanti, si può davvero voltare pagina.

Questa modalità tuttavia non costituisce l’unica reazione connessa alle separazioni.

Esiste una seconda qualità di dolore mentale, al fondo indipendente dal distacco (sebbene superficialmente provocato da esso) e di conseguenza dagli aggiustamenti previsti dal tempo e dalla razionalità umana.

È un dispiacere diverso, apparentemente subito come una fatalità ma a ben vedere oscuramente ricercato e custodito nel corso degli anni.

L’eterno dolore

A differenza del primo tipo di reazione esso svela il suo volto “nevrotico” nella misura in cui non si placa con il tempo, anzi, il tempo stesso sembra rinforzarlo, rendendolo eternamente presente. Ad essere perduto a questo livello non é l’altro, ma esattamente una parte stessa del soggetto.

Non a caso si tratta di qualcosa che viene vissuto nel corso di una vita a più riprese, il copione che seguono gli abbandoni sembra sempre lo stesso nonostante le diversità dei partner, quasi che la vittima lo voglia recitare ogni volta da capo per il puro piacere di riassaporarlo.

Il taglio in quanto tale sembra essere “erotizzato”. Non uccide non poter più parlare, sentire vicino, assaporare quella persona lì. A far sprofondare è non poter più vivere l’ebbrezza apportata da un certo tipo di relazione, non certo il vuoto lasciato dalle caratteristiche preziose di chi si è perduto.

All’origine di una ricerca paradossale e innaturale di questo tipo c’è il tentativo di ricostruire nel presente un rapporto vissuto in maniera frustrante ma contemporaneamente intensamente coinvolgente con una figura genitoriale sfuggente.

Il rifiuto dell’abbandono scatena così sensazioni dolorose profondamente radicate nell’inconscio, facendo risorgere quella parte perduta di sè, amata e al contempo buttata via, esaltata dalla eccezionalità transitoria del momento immediatamente precedente lo scacco.

Un voler rivivere non tanto e non solo per correggere, per venire a patti, per riscrivere un finale a lieto fine, ma infondo per ripetere e basta, in maniera spesso grottesca e fine a se stessa, la traccia del passato.

Va da sè che la ferita non guarisca mai, che a nulla valgano i tentativi di porvi rimedio, messi in atto solo perché così si fa, senza partecipazione e senza convinzione.

L’analisi

In analisi gli sforzi dell’analista sono fallimentari così come gli anni spesi sul lettino se non accade qualcosa che risvegli il soggetto dal compiacimento dei suoi fallimenti e dalla credenza cieca nella fatalità degli eventi che sorpassa la responsabilità personale.

Credersi vittima di una vita amorosa sfortunata senza riuscire a guardare i propri meccanismi produce stagnazione e apre la strada solo a ulteriori ripetizioni.

Se il trattamento di un dolore lacerante ingenerato dalla fine di un amore autentico seguirà un andamento simile a quello di una terapia fisica (ascolto al posto di bendaggi), quello del dolore nevrotico (pur non potendo prescindere da un’umana accoglienza) per certi versi si rifiuterà di ascoltarlo, per far venire a galla i veri moventi nascosti dalla maschera eternamente luttuosa.

Male oscuro, Aiuto psicoterapeutico , Guarire dai sintomi