Quando funziona la psicoterapia?
La psicoterapia che “funziona”, che apporta cambiamenti di sostanza nella vita delle persone risponde a determinate caratteristiche, frutto dell’incontro fra abilità del curante e disponibilità a mettersi in gioco del paziente.
Dopo i primi colloqui esistono dei precisi indicatori che fanno capire a entrambi se si sta ingranando verso una direzione costruttiva. Vediamoli, soprattutto tenendo presente il lato di chi compie l’arduo sforzo di chiedere aiuto.
Ascolto, curiosità, fiducia
Possiamo allora rilevare almeno tre aspetti, davvero fondamentali per il recupero di un buon livello di benessere
Il primo elemento fondamentale è la percezione di essere “realmente” ascoltati.
Non bastano il silenzio del terapeuta o il suo annuire; si capisce se c’è ascolto quando ci si “sente” accolti con rispetto e con garbo.
Sentirsi a proprio agio è l’effetto emotivo che accompagna sempre un ascolto di qualità. Se manca questa sensazione istintiva di fiducia, se ci si “sente” giudicati allora significa che qualcosa non va. L’ascolto vero è senza giudizio, infonde tranquillità, permette un allentamento progressivo delle difese e un livello crescente di fiducia per aprirsi e parlare più approfonditamente di ciò che non va.
Le domande del terapeuta, indispensabili per inquadrare la situazione problematica, non vengono avvertite come un interrogatorio, bensì come segni di una comprensione da parte della mente del curante di quanto già detto e come stimoli a produrre ulteriori associazioni.
Si tratta di domande poste con garbo e ad arte, non fastidiose ma capaci di portare il discorso sui punti veramente cruciali e significativi, al di là del racconto meramente cronologico dei fatti.
Grazie a questa guida impercettibile chi chiede aiuto si ritrova non solo a parlare senza sforzo, ma a soffermare l’attenzione su determinati aspetti della propria situazione prima scarsamente messi a fuoco.
Il secondo elemento che indica buone potenzialità di cura del percorso intrapreso è proprio l’attivazione in se stessi di una curiosità nuova: si parla di cose intime, vicinissime, già conosciute. Eppure ci si accorge di non averle mai “pensate” così come accade nel corso della cura.
Rendersi conto di capirci qualcosa di più si accompagna a un senso di sollievo. Anche sapere di non essere da soli ad affrontare questioni complesse ha il suo peso. In ogni caso, anche quando il cammino si fa oscuro e l’angoscia di fronte a certe scoperte prende il sopravvento, la fiducia nella bontà di ciò che si sta facendo resta inalterata.
Una cura psicoterapeutica che lavora in profondità necessariamente solleva del dolore. Ma se accanto all’incremento della sofferenza si capisce che si sta avanzando in una precisa direzione in termini di consapevolezza allora questo dolore non è evocato invano, non costituisce cioè un male fine a se stesso.
Stare peggio per stare meglio deve essere un concetto chiaro alla mente. Se si sta peggio e basta allora forse qualcosa non sta procedendo per il verso giusto.
Il terzo elemento riguarda la messa in discussione di se stessi. La cura funziona se gli interrogativi sui propri schemi mentali non si traducono in sfiducia in se stessi.
Un chiaro segnale che si sta lavorando bene è l’incremento e non il decremento nella fiducia di sè.
La terapia non deve mai nè demolire nè pompare l’autostima ma aiutare a rimettersi in contatto con la propria singolarità, ad amarsi e accettarsi per ciò che si è.
In terapia ci si riscopre in molte verità nascoste, a volte scomode o difficili da accettare. Se la disponibilità a guardarsi dentro è indispensabile per fare luce nelle zone d’ombra della propria persona, al tempo stesso essa non deve mai diventare un flagellarsi, un torturarsi perché si è così o cosà.
Il senso di libertà
Un buon segno è allora il rendersi conto di possedere una maggiore centratura, a cui si accompagna una maggiore capacità di gestire i problemi senza esserne soverchiati.
Alcuni sintomi si sciolgono, altri, quelli più legati al proprio modo di essere mollano un po’ la presa, la loro forza viene mitigata ma non totalmente piegata.
Le guarigioni miracolose non esistono e quando accadono spesso sono soltanto frutto di suggestione e di dipendenza inossidabile dalla cura.
Una buona cura non lega mai indefinitamente ma al contrario favorisce sempre l’incremento dell’indipendenza del paziente. Perché indipendenza significa forza e fiducia in se stessi, sana e solida accettazione di quel che si è.
Avvertire un senso di libertà interiore in un percorso psicoterapeutico si potrebbe allora definire come un elemento trasversale a tutti i punti citati, la cui percezione resta necessaria in ogni fase del percorso.