Le vacanze come momento di verità
L’importanza delle vacanze è lapalissiana: il riposo, l’avventura, la libertà dai doveri o il semplice tempo tutto per sè favoriscono la rigenerazione psicofisica, una sorta di “reset”, di annullamento di preoccupazioni e di tensioni disturbanti.
Il viaggio, inteso come distacco concreto dai luoghi di tutti i giorni, catapulta in mondi nuovi, nella natura o nelle città, portando spesso con sé anche un cambiamento di prospettiva rispetto alla propria realtà.
Lo stesso effetto si può raggiungere anche senza partire, vivendo la dimensione domestica o esplorando i luoghi nelle vicinanze di casa finalmente liberi dai paraocchi della routine, della fretta e dell’abitudine.
Il rallentamento temporale susseguente alla sospensione degli obblighi lavorativi consente dunque, oltre alla ricarica energetica e al pieno di stimoli inconsueti, anche una visione più ampia rispetto alla propria vita, alle scelte fatte o da farsi, ai propri desideri e alle relazioni affettive significative.
Il lato angosciante delle vacanze
Questo fenomeno introspettivo, che quasi sempre segue l’allentamento del laccio degli obblighi, può tuttavia dar luogo a sentimenti di natura opposta, di accoglienza o di rifiuto.
Si spiega così il significato di molte vacanze che assomigliano più a dei “tour de force” che a dei momenti di meritato riposo: programmare e rispettare scrupolosamente i piani servono proprio a evitare l’incontro con l’interrogazione esistenziale che fa capolino ogniqualvolta si interrompono gli automatismi della vita di tutti i giorni.
Il confronto con la verità di se stessi in quanto esseri viventi, che sempre salta in primo piano quando cessa il rumore distraente del fare, può incutere timore e angoscia. Così l’esperienza della vacanza può venir amputata di questo suo tratto distintivo, di questa offerta conoscitiva (insita nell’interruzione delle attività dell’homo faber).
Per alcuni lasciarsi andare a un’esperienza di sè che esclude il controllo, la programmazione o il dovere sociale può risultare penoso. Far vagare gli stati mentali e le emozioni in uno spazio temporale indistinto e privo di puntelli dettati dall’obbligo può essere difficile da tollerare, come se equivalesse a perdere se stessi.
Portare in vacanza molti oggetti di uso quotidiano, programmare tutto fin nei minimi dettagli, affidarsi eccessivamente a guide turistiche o percorsi organizzati sono operazioni finalizzate a schivare l’incontro angosciante ma rigenerante con il sè più profondo e autentico.
Ma anche abbrustolirsi al sole, stiparsi di cibo o stordirsi di alcolici ha lo stesso identico significato di fuga, sebbene in questi casi l’oblio di sè venga raggiunto attraverso il godimento a briglie sciolte invece che tramite la smania del fare e di organizzare.
Le vacanze dunque nel nostro inconscio non hanno unicamente una connotazione positiva ma possono innescare dei vissuti angosciosi: ritrovarsi a girare senza meta in una città straniera oppure non avere nulla da fare durante un assolato pomeriggio estivo possono consegnare al panico, allo smarrimento del proprio senso di sè ormai troppo ancorato al lavoro, alle consuetudini e ai ritmi del quotidiano.
L’incontro col vuoto svela il nostro livello di consonanza con la parte più profonda di noi. Se in vacanza ci troviamo senza nulla da fare e ci sentiamo a disagio o inquieti è importante cercare di capire che ci succede, anziché precipitarsi a trovare un passatempo, un riempitivo o un qualcosa di euforizzante.
Abbandonare la paura del vuoto
Dove va il pensiero? Che piega sta prendendo? Ci sentiamo insoddisfatti? Cosa vorremmo migliorare della nostra vita “vera”?
Non avere paura di porsi queste domande è un primo passo per accedere all’esperienza del contatto col proprio intimo.
Non ho le idee chiare? I pensieri vanno e vengono come le onde del mare? Lasciarli andare è un’esperienza importante. Restare con loro senza doverli per forza collocare in uno schema o in un’azione ci avvicina semplicemente a noi stessi, alle fantasie, alle delusioni, ai ricordi che fanno parte del nostro essere e lo qualificano come tale.
Ci assale la malinconia? Non c’è nulla di strano, di malato o di pericoloso nella malinconia intesa così. La malinconia indotta dal vuoto segnala la nostra ferita, che cessa di farci male proprio quando la accogliamo senza volerla fuggire o combatterla.
Allora oltre la malinconia può farsi strada la semplice e rudimentale percezione d’esser vivi, a cui può seguire l’esperienza estatica dell’esserci pienamente nel momento presente.
Assorbire le sensazioni malinconiche dettate dal sentirsi un po’ persi in una città straniera o su un treno o un aereo che ci porta lontano è il prerequisito per godere a pieno della vertigine del distacco dai ruoli e per addentrarci in un’esperienza conoscitiva più piena e profonda.
Allora saranno le atmosfere a contaminarci, a portarci in luoghi lontani del sè, non le nozioni o le foto ricordo o i diktat dei social network.
Così facendo potremo massimizzare i benefici delle vacanze per tornare alla vita di sempre trasformati e arricchiti, con idee più fresche e maggiore prontezza nell’impostare la nostra esistenza nella maniera più vicina possibile ai nostri desideri.