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"Il depresso"

L'originalità della poesia sta proprio nel far risaltare in primo piano l'intreccio di sofferenza che si instaura fra il depresso e chi lo ama, così che la comprensione del fenomeno ne viene amplificata. Attraverso le reazioni evocate in chi vi si trova a stretto contatto, otteniamo un allargamento della visuale sul disturbo, che va oltre quella classica, per lo più incentrata sul malessere patito piuttosto che su quello inflitto dal depresso.

Intanto viene rappresentata con l'immediatezza tipica degli artisti quello che è un aspetto riscontrabile nella clinica della depressione, ovvero il compiacimento del proprio stato luttuoso, l'indugiare in una condizione di malessere che arreca un inconscio e oscuro tornaconto. "Fa finta di cantare ma in effetti si lamenta" ci dice la poetessa; quella che può sembrare un'alta espressione di dolore non è altro che lamento, paralisi, crogiolarsi di "vigile urbano sempre fermo sulla sua catastrofe".

Alda lucidamente, finemente e impietosamente svela la prossimità del dolore psichico subito da chi viene colpito da accessi depressivi con una non del tutto inconsapevole crudeltà verso l'altro. L'anima   "instabile",  " luttuosa", " morta" produce effetti di mortificazione, tende cioè a trasferire la morte psichica da se stessa all'altro, come in un accesso di odio punitivo verso tutto ciò che è vivo e desiderante.

Per questo il depresso viene apostrofato anche come " cavilloso", " anomalo", " iettatore": la vicinanza alla verità di fondo dell'esistenza, ovvero la sua infondatezza, la sua mancanza di senso, lo rende pesante, diverso dalla norma e infine fatalmente "iettatore" appunto, come una calamita di morte che esercita un potere di attrazione fatale su ogni creatura con cui entra in una sfera di contatto intimo e ravvicinato.

Ecco il vero significato dei versi "si comincia da bimbi ad essere depressi/da grandi si diventa perfidi". La depressione infatti invariabilmente fa la sua prima comparsa nell'infanzia di coloro che ne soffriranno da adulti. Di solito insorge a causa di un dubbio sull'amore, nel vederlo negli occhi di un genitore. Precocemente viene incontrato qualcosa di intollerabile, un buco, uno strappo nella tela rassicurante che copre il reale. Una scheggia di non senso, di vuoto si insinua nella mente del futuro depresso e da lì si propaga con effetti nefasti in coloro che avranno una relazione d'amore con lui. Egli diventa per l'appunto "perfido", involontariamente, inconsciamente crudele con l'oggetto d'amore, con l'amico, con l'amante. L'esposizione alla mancanza che l'amore induce, riporta alla luce quel vuoto, quel buco. Il timore di svanire annienta l'oggetto buono, amorevole, animato dal dono gratuito.

Dunque intorno a lui chi tenta di salvarlo muore e finalmente, ci dice la poetessa, " dopo aver distrutto un intero mondo di eroi/il depresso rimane felice; e' finalmente libero". La distruzione di colui che porta l'abbondanza dell'amore arreca sollievo, libertà da quelle che vengono sentite come catene insopportabili. Il legame, il contatto profondo sono al fondo desiderati come l'aria ma al tempo stesso percepiti come estremamente pericolosi, inaccessibili, al pari di un frutto proibito.

Dopo tale annientamento dell'altro il depresso "finalmente ride" conclude Alda con amara spietatezza. Si tratta naturalmente di una felicità triste, di un riso disperato che, cosa che la poetessa non dice, può indurre in seguito tentativi di riparazione, ritorni, nuovi slanci che aimè dureranno poco, brevi schiarite prima del prossimo addensarsi di nubi.

 

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