Depressione e amore: difficoltà e speranze
Frequentemente capita di ricevere chiamate angosciate da parte di partner di persone scivolate nella solitudine radicale della depressione. Di colpo non riconoscono più il loro amato, sono disorientate dal suo rifiuto, dalla sua assenza, dal suo eclissarsi dal mondo.
Si sentono impotenti, messi da parte, investiti da accuse irragionevoli, impauriti da discorsi deliranti e sbalzi d’umore immotivati. Ogni loro tentativo di “tirare su” l’altro con frasi di buon senso o con incitazioni sostenute fallisce miseramente, alimentando la spirale di impotenza.
Le difficoltà del partner
L’impatto con la depressione grave è destabilizzante per qualsiasi persona abbia a che fare con chi ne è colpito, perchè ogni tentativo di incidervi attivamente è fatalmente destinato allo scacco. Ma chi è implicato in un rapporto d’amore vive uno spaesamento doppio rispetto ad un amico, un genitore o un fratello. Chi ama si vede venir meno l’assunto su cui si fonda ogni rapporto autenticamente amoroso: senza di te la mia vita non ha senso. Com’è possibile, si chiede con angoscia l’amante, che lui, pur con me accanto, sia così disperato, così senza speranza, così chiuso nel suo guscio? Allora non mi ama davvero! Il pensiero si fa martellante.
Dunque il compagno perde la fiducia nell’essere contraccambiato. La depressione dà luogo a questo equivoco: se ti allontani, se mi escludi dalla tua vita significa che non valgo abbastanza per te. In questa maniera purtroppo accade che chi soffre del così detto “male oscuro”, già gravato dal suo peso, venga lasciato, perché non in grado di veicolare al partner un senso di sicurezza e di stabilità affettiva.
Oppure non viene abbandonato ma ripetutamente colpevolizzato per non essere più ciò che era prima, o che sembrava, o che si supponeva essere. Succede in molte famiglie: il coniuge resta ma si carica di un’aggressività permanente, di un risentimento per le aspettative deluse. Allora tenta di cambiare l’altro, non lo accetta, lo vuole guarire, sanare.
Furore terapeutico o semplice accoglienza?
Nulla è più pericoloso nell’amore dell’ “io ti salverò”. Il furore terapeutico del partner cela sempre una non accoglienza, un non voler fare i conti con la diversità spigolosa ed inassimilabile dell’altro, conferita in questi casi dal disagio psichico. Una fragilità spesso non eliminabile, curabile certo, migliorabile, soggetta ad attraversamenti ma non cancellabile in un’utopica “restitutio ad integrum” .
Ci sono situazioni che vanno incontro a remissioni anche lunghe, ma le ricadute non si possono escludere. La depressione, aggredendo la psiche, abita un territorio che non può essere definito “tout court” come malattia ma nemmeno può delinearsi come un semplice modo d’essere fra tanti. Esistono molti tipi di depressione, alcune misteriosamente “endogene”, altre “reattive” a fattori di stress, altre ancora legate ad un atteggiamento di rinuncia esistenziale.
I casi più fortunati sono quelli in cui il compagno riesce a capire che il rifiuto non è un vero rifiuto, anche quando esso sembra radicalizzarsi in una impenetrabilità pressoché totale. In queste situazioni la capacità di amare è massima, perché è disinteressata, si spoglia di tutte le aspettative e accoglie l’esistenza dell’altro per quella che è, anche nella sua imperfezione più dolente e più mortificante. L’amore vero può accogliere l’impensabile, può sopportare tutto. Senza asfissiare con le aspettative di guarigione o con il sacrificio ostentato. Esso abbraccia l’altro in quanto creatura particolare, unica, anche quando strutturalmente minata dalla sofferenza mentale. C’è sempre una parte sana, l’anima, la persona, l’essere (si può chiamarlo come si vuole) che è e resta altro rispetto alle aggressioni che subisce.
Amori così esistono, se ne vedono ancora pur nella loro rarità e possono costituire un esempio per chi va in crisi, per chi non riconosce più il volto dell’amato. Non sono nè la cultura nè la conoscenza dei disturbi mentali a fare la differenza. Certo, sono cose utili. Ma ciò che permette di stare nella tempesta che inevitabilmente si abbatte sul legame è la disposizione ad accogliere tutto, ad amare senza condizioni.
Chi ha ricevuto il dono dell’amore incondizionato forse è proprio colui che più riesce a destreggiarsi nelle situazioni più complesse, senza appesantirle e drammatizzarle ulteriormente. La sua fiducia in sé non dipende da cosa dice o fa l’altro, regge nonostante le inevitabili ferite inflitte dal compagno sprofondato nel vortice della tristezza più profonda. Ma qualcosa possono imparare anche gli altri, i più insicuri.
È chiaro che vivere accanto a qualcuno che tocca vertici di sofferenza mentale produce a sua volta dolore. Ma assorbirlo e lasciarlo fluire si può, pur mantenendo un distacco ed una coscienza della propria individualità, la giusta lucidità per affrontare coraggiosamente la cosa. La sofferenza non viene negata ma non si porta via tutto, lascia spazio alla speranza.
Quando rifiuto e domanda si intrecciano
Se il depresso patisce proprio dell’eclissi della speranza, la sua sopravvivenza nel partner è di grande aiuto ai fini di un attraversamento della condizione luttuosa. La cura tuttavia non sarà assolutamente nelle sue mani, spetterà ad un professionista, (sia esso uno psicoterapeuta o uno psichiatra) pienamente consapevole di ciò che spesso sfugge ad un compagno o ad un amico: la melanconia implica una contraddizione fortissima.
Da una parte essa dà luogo a un netto rifiuto della relazione, dall’altra affina antenne sensibilissime e captanti il minimo segnale di stanchezza nell’altro. Anche quando i volti si chiudono agli sguardi altrui questo non significa che non colgano, che non percepiscano. Che non sentano acutamente la radicale disponibilità umana dell’interlocutore o la sua desolante assenza.
La depressione si sottrae agli scambi interpersonali ma nello stesso tempo è divorata dalla nostalgia struggente della comunicazione perduta. Nella chiusura assoluta resta uno spazio aperto alla speranza, e questo ogni terapeuta sufficientemente esperto lo sa. Sa che non può travalicare certi confini, ma sa che il silenzio e l’ascolto vero, il semplice esserci hanno una risonanza flebile anche nel paziente più ritirato (cosa confermata spesso dai racconti nel momento in cui la depressione si dilegua).
Limiti e chance terapeutiche
Gli strumenti tecnici utilizzati dalla psicoterapia e dalla psichiatria hanno dei limiti, data la complessità della materia che tentano di trattare. Ma un terapeuta che ne sia conscio può a maggior ragione offrire ciò che non può mai mancare, ovvero l’umana solidarietà e la disponibilità ad ascoltare e a comprendere.
La consapevolezza della persistenza dell’umanità e della sensibilità nel soggetto più disperato e più chiuso nel suo mondo, il bisogno di comunicare che si agita dietro al mutismo e alla pietrificazione della parola può essere allora da bussola per tutti coloro che si trovano a confrontarsi con le incomprensibili metamorfosi dei loro cari.
A volte bastano pochi colloqui con un terapeuta perché certe dinamiche si illuminino e acquistino senso. Allora i risentimenti, le delusioni e perfino gli sforzi diretti di modificare il compagno potranno essere lasciati alle spalle per far spazio ad una presenza che nulla chiede e nulla offre. Che così va oltre quel circuito del dare e del ricevere che tanto inquina i rapporti fra le persone e li riduce a puri rafforzatori del narcisismo dei singoli.