Superare una delusione d’amore
Il così detto “mal d’amore” (sperimentato nel presente o nel passato) in quasi tutte le psicoterapie ad un certo punto va a costituire una materia di indagine privilegiata, sia per gli arrovellamenti e i tormenti a cui dà origine, che per la possibilità di identificare i fantasmi inconsci che insidiosamente mettono in scacco nelle relazioni e più in generale nella vita.
Sintomi del mal d’amore
Il dolore, a volte così intenso da togliere il sonno e da minare perfino le energie per affrontare la quotidianità, è sempre connesso alla dinamica della delusione successiva all’illusione. Esiste cioè un tempo uno (di durata variabile) in cui si accende l’aspettativa di essere amati, in cui esplodono i colori e si sperimentano sensazioni inebrianti di benessere.
Segue poi, più o meno bruscamente, una fase due in cui la suddetta felicità si rovescia nel suo esatto contrario, una specie di orrido incubo a tinte scure. L’amato, proprio colui che si supponeva essere innamorato, se ne va, si distacca emotivamente, perde interesse, nei casi peggiori si svela francamente sadico e opportunista. La fonte della vita si dissecca e restano vuoti e deserti. Anche il senso se ne va, tutto sembra privo di scopo e di fondamento, le giornate appaiono come delle sciocche e pesantissime recite da portare a termine, le notti delle lunghe veglie all’insegna della rimuginazione e dell’impossibilità di riposo.
Tutti noi possiamo venire colpiti da una sintomatologia simile, quando ci rendiamo conto che il nostro amore in realtà non ci vuole o non ci ha mai voluti. L’intensità dei vissuti e la loro durata nel tempo dipende però da un fattore “x”, di cui disponiamo in maniera variabile, ovvero non tutti ne abbiamo nella stessa misura.
I mal amati
Esso lo potremmo chiamare grossolanamente “autostima”, “amor proprio”, “sicurezza di base”. Questi termini rimandano tutti al cuore del problema. Come faccio a riprendermi dalla perdita dell’amore, dalla ferita dell’abbandono, dall’eclissi delle illusioni se non posso contare su una sufficiente riserva d’amore e di vitalità mia, personale, non dipendente da nessuno se non da chi mi ha messo al mondo?
Non è un caso che i “non amati” (una percentuale modesta) e i “mal amati” (la maggior parte) nell’infanzia siano poi i più inclini a sentimenti melanconici e alla vulnerabilità in campo amoroso da adulti. Se nessuno attraversa indenne una delusione in campo sentimentale (proprio perché il sentimento d’essere stati amati dai genitori ad un certo punto della vita non basta più), chi ne esce più facilmente resta fondamentalmente conscio della propria amabilità, può vacillare ma non affondare a livello narcisistico.
Il fantasma che allora in molti viene a galla attraverso la debacle amorosa è quello di non amabilità. Se gli uomini tipicamente sfogano il malessere tramite l’aggressività verso l’oggetto amato oppure abusano di alcol e di droghe per stordirsi ed attutire il dolore, le donne frequentemente cadono preda di un odio verso la propria immagine o di una sua vertiginosa esaltazione.
Vedersi brutte, orribili, ingigantire i propri difetti sul lato fisico chiudendosi a riccio oppure esibirsi, cercare compulsivamente conferme tentando di sedurre indiscriminatamente tutti sono atteggiamenti che denotano lo spostamento del dubbio circa il proprio valore personale sull’immagine esteriore.
Non di rado sono questi i momenti in cui possono far capolino disturbi alimentari, a volte molto seri, come tentativi di rammendare “concretamente” nel reale il supposto “difetto morale”. Diete restrittive a cui seguono cedimenti e abbuffate si accompagnano a iperattività e spleen depressivi.
La psicoterapia
Come temperare allora gli effetti nefasti del mal d’amore?
La psicoterapia non può riportare in vita l’amore perduto, così come non può correggere la carenza “a monte”, anche quando si propone come un’esperienza umana antitetica a quella vissuta in tempi remoti.
Sicuramente il fatto che il terapeuta sia qualcuno capace di accoglienza vera immediatamente fa respirare, perché introduce nuovamente il sentimento vitale perduto. La persona si sente ascoltata e capita e quindi si riallaccia al senso grazie all’effetto di riconoscimento da parte dell’altro.
Ma se l’unico fattore terapeutico è la relazione terapeutica il rischio è una sostituzione permanente e non transitoria del partner perduto con la figura del terapeuta, situazione nel lungo inevitabilmente frustrante e nuovamente foriera di idealizzazioni e delusioni.
Grazie allo strumento interpretativo la terapia fa vedere che esiste un al di là del rapporto analista-paziente, e questo orizzonte è dato dalla parola, dalla possibilità di rivisitazione ed elaborazione del passato, dalla conquista di nuove consapevolezze e acquisizioni su di sé e il proprio modo di funzionare.
La ferita d’amore “primordiale” può essere guardata, vista da più prospettive. Si possono finalmente incontrare i torti subiti, la rabbia, il dolore “primitivo” e poi decidere di farsene qualcosa, decidere di non venirne più sopraffatti, assumere un atteggiamento risoluto nei loro confronti.
Nella guarigione c’è sempre un aspetto decisionale, uno scatto, una presa di posizione non passiva e vittimistica. Un “rimboccarsi le maniche”, un mettersi a lavoro, un accogliere anche l’inaccoglibile.
Mi sono successe tutte queste cose brutte, bene, voglio allora struggermi e distruggermi tutta la vita in nome di ciò? Voglio continuare ad indugiare nel dolore o provare a fronteggiarlo attivamente, con pazienza, con fatica, affrontando i fallimenti ma tenendo ben a mente i successi dati dai miei sforzi?
Ecco, per superare una delusione ci vogliono consapevolezze, lucidità sui vari perché e un assetto mentale intenzionato a riagganciare la vita così com’è, imperfetta, a chiaro sicuri, ma pur sempre vita.
E poi via via ricostruire, partendo dalle piccole cose, assemblando i resti, puntando al presente e non più a ciò che poteva essere e non è stato. Ricominciando da sé stessi senza più attendere l’altro, senza più aspettative, senza più bisogni, lasciando andare...
Per fare il salto è necessario arrivare all’accettazione che le cose non siano andate come si voleva, una resa certamente non priva di episodiche ribellioni e regressioni rivendicative ma nel complesso aperta all’ordinario presente e alle sue ricchezze infinitesimali troppo spesso sottovalutate e date per scontate.
Tornare ad amare ciò che c’è è il segno della guarigione avvenuta e può preludere ad incontri imprevisti, sganciati da attese e dinamiche malate, frutto del semplice riconoscimento fra anime affini