L’abuso emotivo fra infanzia ed età adulta
La ripetizione dei comportamenti di abuso emotivo nelle generazioni
Accettare in età adulta un comportamento di abuso emotivo da parte di un partner o di una figura affettivamente significativa sottende sempre la presenza nell’infanzia di chi subisce una serie di abusi e umiliazioni non elaborati.
Chi può contare sulla base solida di una relazione affettiva sana con i propri genitori o in alternativa su un tempestivo e profondo lavoro di individuazione delle ferite del passato non resta a lungo intrappolato nelle maglie di una relazione tossica.
In cosa consiste dunque l’abuso emotivo e perché si utilizza proprio questo termine per riferirsi a condotte psicologicamente lesive?
Definizione di abuso emotivo
L’abuso emotivo, analogamente a quello fisico, implica un approfittarsi, un trarre vantaggio, un soddisfare una propria pulsione egoistica a discapito dell’integrità altrui.
Colui che esercita un abuso non rispetta l’altro, violandone intenzionalmente i confini con l’obiettivo di piegarne la volontà ai propri desideri o capricci.
L’abuso coincide quindi con una manipolazione emotiva, più o meno elaborata, basata su critiche, intimidazioni, minacce, ridicolizzazioni, freddezza affettiva (o alternanza di caldo-freddo), ricatti basati sull’installazione del senso di colpa.
L’obiettivo dell’abusatore è ottenere la sottomissione alla propria volontà; se l’altro è sensibile alla critica sarà inconsciamente incline ad accettarla (anche quando formalmente la contesta) considerando il luogo dal quale proviene come quello della verità e del bene.
Colui che perpetra gli abusi utilizza tale modalità manipolatoria in tutte le situazioni relazionali, lavorative o di coppia, ottenendo spesso il risultato che desidera. Egli è abile a riconoscere le potenziali vittime e a infierire su di loro per ottenere la sua gratificazione personale (di natura squisitamente egoistica) che spaccia per il bene dell’altro.
Le personalità di questo genere hanno spesso problemi nella sfera narcisistica, agiscono secondo modalità autoritarie che vanno a compensare frustrazioni profonde. A loro volta possono aver subito nell’infanzia il trattamento che riservano agli altri, avendolo assorbito come una strategia giusta e vincente.
La psicologia del genitore abusante e la dinamica di abuso
Il genitore abusante ricalca nei confronti dei figli gli stessi schemi che hanno caratterizzato la sua infanzia. Messo di fronte all’energia vitale del bambino, che considera come un fattore di disturbo, si risveglia in lui l’istinto di sopraffazione e di dominazione psicologica.
Anziché educare questi genitori usano la mortificazione come strumento di sudditanza. Per garantirsi l’ubbidienza (senza passare attraverso il ben più faticoso lavoro educativo) usano la scorciatoia dell’autoritarismo spinto, basato sulla strategia del terrore.
L’autostima dei piccoli ne risulta minata, senza parlare delle ricadute nei termini di ansia e depressione.
Venendo repressi nei loro istinti più vitali i bambini sottoposti a questi trattamenti vengono interiormente coartati, crescendo nell’inconsapevolezza delle loro qualità e delle cose belle della vita.
In adolescenza possono assumere condotte autolesive, essere soggetti a disturbi alimentari o venire sopraffatti dalla depressione.
Il prezzo più grande da pagare tuttavia riguarda la sfera relazionale.
Spesso la crescita in ambienti autoritari pregiudica già di per se stessa l’abitudine alla socialità, nella misura in cui i genitori abusanti (oltre ad essere abbastanza isolati socialmente) generalmente vietano le occasioni di scambio con gli altri bambini.
Ai piccoli vengono a mancare importanti occasioni di scambio; in più a scuola sono spesso percepiti come diversi, perché molto inibiti e paurosi.
La deprivazione sociale nell’infanzia in adolescenza e nell’età adulta può continuare (portando a una chiusura totale) oppure dar luogo a tentativi di socializzazione.
La psicologia delle vittime di abusi emotivi in età adulta
Coloro che hanno alle spalle storie di abusi emotivi tuttavia tendono fatalmente ad avvicinarsi a persone che li rifiutano, o che li trattano secondo modalità ambivalenti.
Non contando su un’autostima reale e considerando certi atteggiementi malati come normali tollerano e accettano situazioni tossiche (di gruppo o individuali), in cui la loro persona o viene più o meno sottilmente denigrata oppure alternativamente esaltata e svilita.
Anziché allontanarsi ai primi segni di squilibrio, coloro che sono stati mal amati si legano illogicamente sempre di più ai loro carnefici.
Questo atteggiamento chiaramente porta ad avvilupparsi e a sprofondare sempre di più in gironi danteschi, in cui l’abusante alza sempre di più l’asticella nei suoi comportamenti crudeli e irrispettosi.
Il godimento sadico e quello masochistico si incontrano; per l’aggressore non è nemmeno più una questione di mero dominio: il piacere di far soffrire prende il sopravvento, così come la vittima si compiace di star male, arrivando nei casi più estremi ad utilizzare la sua umiliazione come uno strumento di controllo sull’altro.
Non solo l’abusato usa il “guarda cosa mi hai fatto” per tentare di suscitare la colpa nel carnefice (cosa che per altro funziona per periodi limitati di tempo). Il suo umiliarsi viene usato per se stesso, per sentirsi importante: se l’altro ci tiene a farmi male significa che ho un potere su di lui, dunque nella misura in cui mi umilio lui resta e non mi abbandona.
Nella logica folle di natura masochistica che la violenza psicologica si perpetri è un punto fondamentale, così essa assicura il controllo sull’altro e quindi la persistenza della relazione (anche se malata, a questo livello la relazione è considerata fondamentale per la sussistenza psichica, inconsistente in assenza di una figura autoritaria che definisce e stabilisce chi si è).
La psicoterapia delle vittime di abuso emotivo risulta possibile sul piano elaborativo solo quando c’è la capacità di riconoscere e cogliere le radici infantili della propria disponibilità ad essere oggetto di manipolazione.
Il riconoscimento delle ferite del passato, il loro corretto inquadramento se non le può cancellare può almeno inserirle in una cornice di senso, che fa cogliere a pieno i rischi insiti nella relazione affettiva con l’altro.
Se manca questa condizione, se cioè il passato non è toccabile e affrontabile perché avvolto da una coltre spessa di rimozione/ dissociazione il lavoro psichico si riduce di molto nelle sue possibilità curative
Esso diventa uno sfogatoio, un luogo in cui lamentarsi e basta. L’insistenza da parte dei curanti affinché la persona si salvi dalla deriva di disperazione in cui è finita non porta da nessuna parte anzi, è vista come un’indebita intrusione nella propria libertà decisionale
Come terapeuti purtroppo non possiamo salvare tutti e una quota di impotenza è da mettere in conto nel complesso trattamento delle degenerazioni perverse dei legami.