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Legame fra depressione e disturbo ossessivo compulsivo

Il rapporto di causa effetto fra depressione e ossessioni

Nella pratica clinica ritroviamo sempre un legame stretto fra depressione e pensieri ossessivi. In alcuni casi i sintomi di natura ossessiva sono conseguenza della depressione, in altri è la depressione stessa ad ingenerarli ed annoverarli fra le sue manifestazioni.

Distinguere il rapporto di causa effetto fra depressione e "doc", ovvero stabilire il primato dell’uno o dell’altro, è di grande importanza ai fini del corretto inquadramento del problema di fondo della persona sofferente e può consentire di trovare la chiave di accesso ad esso.

Alla base di ogni sofferenza emotiva rintracciamo infatti un nucleo patogeno, un evento o una serie di situazioni risalenti all’infanzia o alla prima giovinezza che costituiscono una specie di “coagulo” attorno al quale si strutturano successivamente le difese psichiche e i sintomi ad esse associate.

Nel caso della depressione con presenza di forte ossessività il trauma infantile può avere un impatto sull’umore, sul senso di fondatezza della propria esistenza (primarietà del discorso depressivo da cui scaturiscono secondariamente le ossessioni) oppure sul pensiero, che si sviluppa attorno alla percezione di sé come essere colpevole di qualsiasi cosa accada intorno (primarietà dei pensieri e dei rituali ossessivi che ingenerano a lungo andare dei disturbi dell’umore)

Soltanto la psicoterapia permette di raggiungere queste zone profonde della psiche, grazie allo sforzo di riportare alla memoria gli eventi del passato che indirizzano in un certo senso lo sviluppo successivo.

Quando la depressione ingenera i pensieri ossessivi

La situazione classica collegata alla sofferenza depressiva è quella che ingenera vissuti di rifiuto, abbandono e/o di perdita. La solitudine affettiva, la trascuratezza, il senso che lo sguardo dell’altro sia sempre rivolto altrove ingenerano la profonda convinzione che questo non essere visti, non andare bene per l’altro sia dovuto a un proprio “difetto” di fondo, a una propria inadeguatezza strutturale, a una mancanza totale di valore.

Sentirsi senza valore azzera ogni slancio vitale: perché provarci se tanto ogni sforzo è votato al fallimento? L’inerzia, la paralisi dell’azione, la tristezza profonda sono le figure che qualificano il lato affettivo del vissuto depressivo.

La ruminazione mentale è allora conseguenza di questa condizione: allentati i contatti con l’esterno, con l’azione e con gli altri esseri umani il pensiero inizia ad avvitarsi su se stesso, producendo idee di disvalore e di colpa in linea con il vissuto affettivo. Possono comparire anche strane fissazioni e compulsioni, come tentativo da parte di una mente invischiata e prigioniera di se stessa di trovare la via per uscire dai propri labirinti (nei quali chiaramente si perde sempre di più distaccandosi in maniera più o meno marcata dalla realtà)

Quindi “inizialmente” è il versante affettivo (il dolore di esistere) quello dominante, che ha per effetto una paralisi della vita e un avvitamento dei pensieri su loro stessi. Ormai sganciati dalla possibilità di dar luogo ad atti veri, essi collassano in un vortice di falsi movimenti, spesso sfibranti per la persona stessa che li vive e per le persone che le stanno attorno.

L’indecisione del paziente depresso è dovuta proprio a questa sua impossibilità di presa sulla realtà, dato che il suo pensiero è profondamente inquinato e condizionato dalla sua condizione affettiva impregnata di lutto e di senso di non avere accesso a nessun "posto nel mondo".

La psicoterapia della depressione con tratti ossessivi

La psicoterapia allora non darà enfasi alla correzione dei pensieri intrusivi ma si concentrerà sulla condizione di fondo che li determina, ovvero sul sentimento di estraneità dalla scena dei vivi.

La relazione transferale può parzialmente ravvivare il soggetto “moribondo”, a patto però che egli abbia in sé delle energie vitali residue su cui fare perno per beneficiare degli stimoli offerti dalla psicoterapia (modello relazionale antitetico a quello esperito in famiglia).

A volte la depressione di cui soffrono questi pazienti non è soltanto “unipolare” ma si presenta come un “disturbo bipolare” vero e proprio, in cui la persona cerca attraverso l’impulsività, la rabbia e/o l’assunzione di stati d’animo euforici di tirarsi su. Non sono rari gli stati “misti”, in cui questi movimenti paradossali si miscelano con affetti marcatamente depressivi, creando dei mix in cui rabbia, tristezza e ossessività si mischiano in maniera tale da creare dei pattern comportamentali non facilmente riconoscibili dai clinici inesperti o disattenti.

Quando i pensieri ossessivi causano la depressione

All’origine dell’ossessività pura (a cui seguono vissuti depressivi) non troviamo la figura dello sguardo dell’altro che lascia cadere il soggetto; al contrario spessissimo questo sguardo abbraccia il bambino proprio come fosse un “gioiello” prezioso.

Si tratta delle situazioni tipiche in cui i genitori, nell’infanzia del futuro paziente, desiderano il meglio per il loro figlio, ingenerando in lui un profondo senso di colpa ogni volta in cui egli non si adegua alle loro aspettative.

Alla base di questi disturbi non troviamo il tema dell’essere “degni di esistere”, bensì un conflitto fra i desideri spontanei avvertiti dentro se stessi (ma valutati negativamente) e le aspettative dell’ambiente (percepite come “giuste”)

La persona finisce per dividersi in due parti, quella che ha le sue esigenze vive (ma a cui non si permette di dare sufficientemente credito) e quella che giudica aspramente.

Ne risulta un senso di colpa vivissimo, che finisce per affliggere in ogni caso, sia in quello in cui si seguono i propri desideri sia in quello in cui si rinuncia ai desideri per rendere contento qualcun altro.

I pensieri di colpa si organizzano in pensieri ossessivi, la persona ingaggia un dibatto interno senza sosta che la rende eternamente indecisa sul da farsi: studio filosofia, come vorrei, o medicina, come vogliono i miei genitori? Sto con il mio ragazzo, che amo, o lo lascio perché ai miei non piace? Da questi dubbi si può arrivare fino a costruzioni assurde e apparentemente insensate, che tuttavia sottendono tutte il tema del “peccato”, della colpa e della riparazione.

La depressione spesso accompagna questi quadri perché l’effetto della rimuginazione ossessiva paralizza e fa perdere il senso del piacere di vivere e di gustarsi la vita. La mortificazione indotta dal conflitto ossessivo si tramuta in male di vivere e in chiusura relazionale.

La psicoterapia dei pensieri ossessivi nel soggetto depresso

La psicoterapia di questi casi allora andrà a scovare il conflitto originario e tenterà di riallacciare il soggetto a se stesso e a ciò che desidera realmente nella vita, promuovendo una nuova alleanza con la parte volitiva del proprio sé.

Il senso di colpa inconscio, a cui la persona è assoggettata acriticamente, viene isolato e fatto vedere nella sua portata esagerata, in modo da produrre un progressivo scollamento dalla visione di se stessi come soggetti della colpa.

Una volta visto ciò appare possibile prendere delle distanze sane dalle aspettative genitoriali e di produrre quindi una separazione “simbolica” dalle loro figure.

La guarigione dai sintomi ossessivi ingenera una scomparsa della depressione e un maturazione a trecentosessanta gradi: la persona diventa finalmente se stessa e pienamente adulta

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